LE DIVERSE VERSIONI DELLA LEGGENDA DI COLAPESCE
Parlando della Sicilia non si può tralasciare la leggenda di Colapesce o Nicola il pesce, o ancora, Colapisci, in Lingua Siciliana. Una storia narrata anche dal Pitrè, il più importante studioso di tradizioni popolari siciliane e ripresa anche da Benedetto Croce e composta in canto da Otello Profazio, cantautore e cantastorie dialettale. lo stesso Pitrè definiva tale novella tra le più conosciute, raccontata da secoli e secoli, e citata da scienziati e letterati, teologi e filosofi, storici e novellieri, prosatori e poeti.
LE DIVERSE VERSIONI DELLA LEGGENDA DI COLAPESCE
Sono numerose le versioni di questa leggenda, fra XII e il XIII secolo, con diverse analogie, fra cui la provenienza: Italia meridionale, Puglia, Campania e soprattutto Sicilia; il nome del protagonista: Nicola per il poeta provenzale Raimon Jordan; Nicolaus detto Pipe per la tradizione letteraria inglese; il fatto che il mare sia il suo ossigeno e che sia intento ad esplorare il fondo marino alla ricerca di oggetti da riportare alla luce. E infine la sua fama che lo rende oggetto di stupore per i sovrani dell’epoca, Ruggero II nella versione siciliana, Guglielmo II o addirittura Federico II di Svevia in altre.
Frate Salimbene deAdam che visse a Parma nel XIII secolo, riferisce fatti narrati dai confratelli messinesi, segno che a partire da allora su Nicola homo Siculus esisteva già una tradizione orale secondo cui il re di Sicilia Federico II ordinava al giovane pescatore di Messina di riportargli la coppa d’oro che scagliava sempre più in profondità fino a ché Nicola non riemerse più dagli abissi.
In questa versione compare per la prima volta il personaggio della madre di Nicola che, vedendolo sempre in mare, lo maledice in preda alla stizza. Il soprannome Pesce appare invece nel Chronicon di Francesco Pipino, un viaggiatore bolognese del XIII secolo
Nel XVI secolo la leggenda di Cola Pesce fa la sua apparizione in Spagna, le avventure di Pesce Cola un pescatore medio hombre, y medio pescado, si collocano a Rota a due leghe da Cadice dove ancora vivono i suoi discendenti. Anche nel don Qujote si fa cenno alle sue prodezze marine. La dettagliata descrizione che lo studioso fa, e le ben 17 versioni popolari della storia di Cola Pesce raccolte nella sola area del messinese, sono esempio della fortuna di cui essa ha goduto a partire dal XII secolo.
GLI ELEMENTI COMUNI DELLE VARIE VERSIONI
Giovane, aitante, ma ancora di più, vera forza della natura e del mare, Colapesce viveva a Messina, vicino Capo Peloro. Sul suo conto se ne sono dette di tutti i colori. Le storie si accavallano e ne esistono circa venti versioni, alcune anche dal napoletano. Stendhal traccia un’interpretazione tutta particolare che con un filo “mistico” lega la figura di Nicola con quella di san Nicola di Bari, protettore del mare e al dio greco Poseidone.
Gli elementi comuni di questi racconti sono che Colapesce aveva grandi abilità di nuotatore, riusciva a immergersi per lunghissimo tempo, quasi come un pesce. In alcune storie si dice addirittura che il fisico del giovane era “particolare”, come quello di un mutante dei fumetti del XX secolo, disegnati nelle tavole della Casa americana Marvel: dita palmate, una pelle squamosa e forse anche delle branchie.
Una trasformazione che viene spiegata secondo una precisa versione dei racconti su Colapesce.
Il ragazzo aveva il vizio di riportare al mare il pesce pescato, tanto che una volta mentre il padre ritornava dalla pesca, in una delle ceste vide una murena ancora viva. La prese e corse a gettarla in mare. La madre lo rimproverò: «Tuo padre e i tuoi fratelli faticano per prendere il pesce e tu lo ributti nel mare! Peccato mortale è questo, buttare via la roba del Signore. Se tu non ti ravvedi, possa anche tu diventare pesce».
Non l’avesse mai detto! Il ragazzo iniziò pian piano a cambiare e a restare sempre più a lungo nel mare, aiutando spesso i naviganti e i pescatori quando c’erano da disincagliare delle reti o recuperare attrezzi.
LE IMPRESE DI COLAPESCE
Il giovane Colapesce divenne famoso per le sue imprese. Attraversando i fondali marini, aveva visto strani ed enormi pesci, città che in un lontano passato erano state sommerse e, infine, caverne piene di tesori.
Poco alla volta portò l’intero carico di monete d’oro di un vascello affondato. Riusciva a fare lunghi viaggi nel mare facendosi ingoiare da pesci giganteschi: quando pensava di essere arrivato o se ne stufava, tagliava la pancia all’animale e ne veniva fuori.
I tentativi voluti dalla madre insieme ad alcuni religiosi di far tornare terrestre quel figlio così trasformato, non riuscirono a nulla.
Colapesce divenne così famoso che la sua storia venne alle orecchie dell’Imperatore Federico II (in altre versioni del racconto, invece, sarebbe Re Ruggero II di Sicilia). Il Sovrano si diresse verso Messina a bordo della sua galea. Giunto al largo di Capo Peloro, Colapesce fu ammesso alla sua presenza. L’imperatore volle sperimentare cosa sapeva fare e gettò la coppa d’oro in mare.
Dopo poco il giovane tornò a galla con la coppa d’oro nella mano destra. L’Imperatore fu cosi contento che regalò l’oggetto a Cola invitandolo a restare sulla nave.
Il Monarca sottopose il ragazzo ad altre due prove. Nella seconda gettò una una corona in punto particolarmente profondo.
LE TRE COLONNE DELLA SICILIA
Proprio durante questa prova, Colapesce stette via a lungo e quando tornò, informò l’Imperatore di ciò che aveva visto negli abissi.
Disse: tre sono le colonne su cui poggia la nostra isola: due sono intatte e forti, l’altra
è vacillante, perché il fuoco la consuma, tra Catania e Messina.
Il sovrano volle sapere com’era fatto questo fuoco e pretese che il ragazzo gliene portasse un po’. Cola rispose che non poteva portar il fuoco nelle mani, ma il sovrano si sdegnò e minacciò di castigarlo ben bene. Colapesce si tuffò nuovamente dicendo: Anche il fuoco vi porterò. Tanto, una volta o l’altra, bisogna ben morire. Se vedrete salire alla superficie delle acque una macchia di sangue, vuol dire che non tornerò più su.
Tutti, baroni e gente del popolo rimasero in attesa con trepidazione. Dopo una lunga attesa, comparve una macchia di sangue. Il giovane disceso fino al fondo più buio del mare, non riapparve più.
Qualcuno sostiene che non è morto e che è rimasto negli abissi per salvare la Sicilia. Infatti il giovane durante la sua ultima immersione si era accorto che la terza colonna su cui poggia la Sicilia stava per crollare e la volle sostenere, cosi come la sostiene tuttora. Certo, ogni tanto si stanca. Ci si accorge di ciò quando ci sono terremoti nella zona dello Stretto di Messina: Colapesce, stanco di sorreggere sempre sulla stessa spalla la colonna di Capo Pelòro, la passa sull’altra spalla e in quel momento la terra trema.
Altri dicono che Colapesce tornerà in superficie quando fra gli uomini non vi sarà nessuno che soffra per dolore o per castigo.
LA VERSIONE PALERMITANA
Nella sua versione più conosciuta, quella palermitana, si narra di un certo Nicola (Cola di Messina ), figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua; di ritorno dalle sue numerose immersioni in mare si soffermava a raccontare le meraviglie viste e, talvolta, riportava tesori.
La sua fama arrivò al re di Sicilia ed imperatore Federico II di Svevia che decise di metterlo alla prova: il re e la sua corte si recarono largo a bordo di un’imbarcazione e buttarono in acqua una coppa che venne subito recuperata da Colapesce . Il re gettò allora la sua corona in un luogo più profondo e Colapesce riuscì nuovamente nell’impresa. La terza volta il re mise alla prova Cola gettando un anello in un posto ancora più profondo ed in quell’occasione Colapesce non riemerse più.
LA LEGGENDA ELABORATA DA ITALO CALVINO
La leggenda è stata trascritta e rielaborata da Italo Calvino.
Secondo la leggenda più diffusa, scendendo ancora più in profondità Colapesce vide che la Sicilia posava su 3 colonne delle quali una piena di vistose crepe e segnata dal tempo, secondo un’altra versione essa era consumata dal fuoco dell’Etna , ma in entrambe le storie decise di restare sott’acqua, sorreggendo la colonna per evitare che l’isola quindi al
profondasse. Ancora oggi si troverebbe quindi a reggere l’isola e ogni 100 anni riemerge per rivedere la sua amata Sicilia.
LA VERSIONE CATANESE
Una versione catanese della leggenda vuole che il sovrano, interessato alla conoscenza del mondo e delle curiosità fenomeniche, chiedesse a Colapesce di andare a vedere cosa vi fosse al di sotto dell’Etna e farne testimonianza. Colapesce scese e raccontò di aver visto che sotto l’Isola vi fosse il fuoco e che esso alimentava il gigantesco vulcano. Federico ne chiese una prova tangibile, così il giovane disse che avrebbe fatto giungere al suo re la prova che desiderava, ma che sarebbe morto nel fargliela pervenire. Colapesce si tuffò con un pezzo di legno per non fare più ritorno, mentre il legno – che notoriamente galleggia – tornò in superficie bruciato.
LA VERSIONE NAPOLITANA
Nella tradizione napoletana, Cola (Nicola) Pesce, o Pesce Nicolò, è un ragazzo maledetto dalla madre per le sue continue immersioni. Finisce per diventare esso stesso pesce e squamarsi. Cola cercava rifugio nel mare, usando il corpo di grossi pesci dai quali si faceva inghiottire, per uscire all’arrivo tagliandone il ventre.
La leggenda trae origine dal culto tardo pagano dei figli di Nettuno, ossia dei sommozzatori dotati di poteri magici, in grado di trattenere il respiro in apnea per poterne carpire i tesori ei segreti. Essi acquistavano tali poteri magici accoppiandosi con misteriosi esseri marini (probabilmente le foche monache) e con l’aiuto della sirena Partenope .
L’origine tardo-pagana della leggenda è sostenuta da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane. Era documentata dalla presenza di un bassorilievo di epoca classica rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le fondazioni del Sedile di Porto e murato nel settecento. Il bassorilievo rappresenta un uomo coperto da quello che sembra una pelle con un coltello in mano, l’arma usata per fuoriuscire dal ventre del pesce trasportatore.
La fontana delle 99 cannelle nella città di L’Aquila sembra contenere un riferimento alla leggenda. Uno dei novantanove mascheroni che la caratterizzano rappresenta, infatti, un uomo con la testa di pesce, un probabile richiamo a Colapesce; tra l’altro, il mascherone è l’unico posto in angolo, posizione dalla quale “controlla” l’intero monumento.
LA LEGGENDA FRANCESE
Differisce dalle altre versioni perchè pone Re Ruggero II al posto di Federico II. La vicenda si sposta quindi in un’epoca più remota, con il Regno siciliano in consolidamento dopo la fine del dominio arabo a opera dell’Armata normanna comandata dal padre del Sovrano, il Gran Conte Ruggero.
Tutto si svolge sempre con il Monarca a bordo della sua galea comandata questa volta dal primo ammiraglio Giorgio d’Antioca e sempre al largo di Messina. Avviene l’incontro fra i due, il Re e Colapesce, poi le prime due prove e il racconto del giovane al ritorno dalla sua seconda immersione. Poi il sacrificio, bisogna salvare la Sicilia dall’inabissamento. Il Re lancia la sua corona in mare. Colapesce guarda tutti e quella terra che saprà di non rivedere mai più, poi il tuffo.
Il ragazzo non tornerà più:Non si evocherà più ufficialmente il nome di Cola Pesce. Ma tutti i Siciliani sanno e si trasmettono di generazione in generazione la loro verità. La Sicilia non è mai sprofondata perché un piccolo pescatore di Messina l’ha salvata, andando sostituire il pilastro difettoso, da qualche parte sotto Etna.
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