LE LEGGENDE SU CARLO V D’ASBURGO
Le leggende, così come gli aneddoti effettivamente accaduti, intorno all’Imperatore del Sacro Romano Impero sono numerosi. Molto nota, per esempio, era la voracità dell’imperatore che, secondo quanto ci è pervenuto, era in grado di mangiare anche tre pasti di seguito, innaffiando il tutto con abbondante birra. Proprio in virtù di questo suo amore per la birra, si narra che Carlo V volle fossero realizzate due birre: una bionda, la Golden, per potersi godere l’alba e una rossa, la Rouge, per deliziarsi del tramonto.
LA LEGGENDA DEL BOCCALE A QUATTRO MANICI
C’è una leggenda che caratterizza la figura di Carlo V, ultimo imperatore del Sacro Romano Impero incoronato dalla Chiesa. Si narra, infatti, che una sera entrò assetato in una taverna per bere una birra. Il locandiere gliela servì tenendo, tuttavia, il boccale dal manico. Al che, secondo la leggenda, Carlo V lo rimproverò: «Come volete che vi porto via la birra dalle mani se la tenete per il manico?».
Qualche giorno più tardi, la scena si ripeté ma, questa volta, il locandiere servì la birra in un boccale a due manici. Poiché il boccale pesava, però, l’uomo sbadatamente afferrò entrambi i manici e Carlo V lo rimproverò nuovamente. La scena andò avanti fino a quando, alla fine, il locandiere servì a Carlo V un boccale dotato di quattro manici. Nacque così il boccale nel quale, tradizionalmente, si beve la Charles Quint Rouge. Oggi andremo a scoprire questa birra rossa belga, pensata per un pubblico di estimatori delle birre belghe.
IL CASTELLO DI MONOPOLI
Il castello di Carlo V, situato nella bellissima Monopoli, è un fortilizio cinquecentesco costruito durante la dominazione spagnola. La fabbricazione di questa dimora venne ultimata attorno al 1552 ed edificata per volere dell’Imperatore Carlo V che desiderava difendere la costa pugliese. All’epoca il fortilizio fu costruito sulla Punta Pinna, un piccolo promontorio ubicato nel centro storico della città. Nella prima metà del XIX secolo il castello si trasformò in carcere, successivamente venne abbandonato, mentre oggi è utilizzato come sede culturale atta ad ospitare mostre, convegni, manifestazioni, rassegne.
La pianta del castello è arricchita da bastioni pentagonali che sono collocati nei cinque vertici. L’entrata principale, ove anticamente era situato il ponte levatoio, si doveva trovare a sud-ovest dove si innalza la torre cilindrica. All’interno della fortificazione sono presenti un’antica chiesa rupestre di San Nicola de Pinna fondata nel X secolo e la sala delle armi ove sono presenti quattro cannoniere rivolte verso il mare aperto.
LA LEGGENDA DEL FANTASMA COL TAMBURO A MONOPOLI
Il castello di Carlo V, a Monopoli, venne costruito per volere degli spagnoli. Secondo un’antica leggenda all’interna delle mura, oggi spoglie e prive dello splendore di un tempo, viva una donna di origini iberiche. La dama, conosciuta dagli abitanti del centro storico come “a signor cu tàmborr” (la signora con il tamburo), era esile con dei lineamenti delicati, indossava un abito bianco, lungo e vaporoso e suonava un tamburo che teneva tra le mani.
Si narra che la donna non trovasse pace e che ogni notte uscisse dalla sua dimora per suonare il suo tamburo nella speranza di riportare a casa il suo uomo. Difatti, il suo consorte partito via mare, non ritornò più al castello a causa del naufragio della sua imbarcazione avvenuto proprio nelle acque antistanti al famoso Porto Aspergo di Monopoli, un luogo poco accessibile che nel tempo risucchiò, nei suoi fondali, molte navi. Da quel giorno la donna si trasformò in un’anima inquieta e presa dal dolore e dalla fantasia di riabbracciare suo marito suonava, ogni singola notte, il tamburo per indicargli la giusta rotta. Quella che avrebbe ricondotto il suo grande amore al sicuro.
LA CREDENZA POPOLARE
La storia della donna col tamburo, tra gli anni ’50 e ’60, rappresentò per i bambini e gli adolescenti di quel piccolo e abitato centro storico un vero limite. Infatti, le mamme di un tempo solevano dire ai propri figli “nan si scen dè, sèe nò ièss à signòr cù tàmborr vi pegn è vi pàrt con ièdd miraccùmenn fègn mè” (non andare lì, se o esce la signora con il tamburo vi prende e vi porta con sè, mi raccomando figlio mio). Si, perchè con il calare della notte e l’arrivo del primo buio soave, delicato e quasi impercettibile, la donna con tamburo si mescolava ai giovani mortali che nel pomeriggio amavano intrattenersi sul porto vicino al castello o dietro al molo e quella strana presenza metteva soggezione e faceva anche un po’ paura.
Una presenza paranormale, un fantasma o semplicemente la sequenza ritmica e ben scadenzata proveniente da un balconcino che si affaccia sul mare del Castello. La verità non la scopriremo mai. Qualcuno afferma che il tutto sia frutto di racconti provenienti dalle famiglie dei pescatori del posto che udivano il rumore durante la preparazione delle imbarcazioni, qualcun’altro una storia inventata per preservare la purezza delle giovani donne monopolitane che all’epoca, assieme ai propri fidanzati, si appartavano nella zona tra le tenebre per non essere visti. Pertanto, la spagnola, nell’intento di non indurle in tentazione le spaventava con suo tamburellare.
LA LEGGENDA DEI GIUDICI
Calo V, il grande imperatore su cui domini non tramontava mai il sole, visitò la Sicilia nel 1535 mentre ritornava vittorioso dall’impresa di Tunisi.
Un centinaio di anni dopo, per ricordare l’ingresso dell’imperatore a Palermo in piazza Bologna fu eretta una statua in suo onore.
L’imperatore viene raffigurato con la mano destra abbassata e con le dita aperte per indicare che giurava obbedienza al Regno di Sicilia.
La mano abbassata, come per indicare l’altezza di qualcosa, ha destato parecchie fantasie, come ad esempio: a Palermo il foraggio è alto così, a Palermo per vivere bene bisognerebbe avere un sacco di denari alto così, oppure, a Palermo l’immondizia è alta così. Ma c’è un’altra interpretazione della mano aperta, cioè tutti i cinque giudici infedeli dovranno essere scorticati vivi. Certo non è molto carino da parte sua arrivare ed uccidere cinque giudici per farne rivestimento delle sedie del tribunale, ma la leggenda ci dice proprio questo.
Un ragazzino rimase orfano di padre e madre e tutti i beni furono affidati ad un tutore che amministrava a suo piacimento i beni del ragazzo e rubava senza pudore. Il ragazzo si affidò ai giudici di Palermo, ma, corrotti dal tutore, non gli diedero corda.
A quel punto, sapendo che Carlo V si trovava in Sicilia, il ragazzo chiese udienza all’imperatore al quale raccontò la propria storia.
Carlo V si travestì da abate, venne a Palermo e seguì la causa d’appello tra il giovane e il tutore. Quando i giudici corrotti stavano per dare causa vinta al tutore, l’imperatore si alzò dalla sedia, si fece riconoscere e fece vincere il ragazzo costringendo l’uomo a restituire tutti i beni. I giudici, invece, li fece scorticare vivi e con la loro pelle ci fece rivestire cinque sedie del tribunale di Palermo. Questo per fare capire a tutti che fine avrebbero fatto i giudici che lavoravano male.
È vero che Carlo V quando venne in Sicilia volle sapere come lavoravano i magistrati ma non fece scorticare mai nessuno.
LA LEGGENDA DEI FANTASMI DEL CASTELLO CARLO V A LECCE
Ci sono luoghi che raccontano storie e leggende, anche se il tempo ha cercato di cancellare ogni traccia dei racconti custoditi gelosamente e tramandati di generazione in generazione.:
- È così anche per il Castello Carlo V di Lecce, nel cuore del centro storico, che ha tanto da raccontare del suo passato di fortezza prima espugnabile, poi inattaccabile grazie alla mano di Giangiacomo dell’Acaia, l’ingegnere incaricato di mettere in piedi un maniero militarmente all’avanguardia per l’epoca e morto nelle segrete che aveva costruito lui stesso. Finì i suoi giorni rinchiuso in cella, dopo essere caduto in disgrazia per aver fatto da garante ad un uomo che non onorò i suoi debiti. Da allora, si dice che non se ne sia più andato.
- È nei sotterranei che sono state scritte tante storie, rimaste indelebili sui muri che hanno ospitato i prigionieri. Pareti diventate una tela dove disegnare i pensieri. Graffiti che, come un diario o un testamento, raccontano la vita dei carcerati. Torri, stemmi nobiliari, navi, croci segno che la fede era rimasta intatta anche in cella, ricordi di battaglie e vecchie glorie. Alle segrete sono legate anche le storie di fantasmi.
- C’è chi è pronto a giurare di aver sentito il pianto di un bambino. Si dice sia il figlio di un soldato che, mentre giocava, cadde in un pozzo e non fu mai più ritrovato. Forse fu portato via dalla corrente dell’Idume, il fiume sotterraneo che scorre sotto la città di Lecce. Del piccolo scomparso restano solo le urla disperate che, scoccata la mezzanotte, qualcuno continua ad udire. E non è la sola voce che si può ascoltare tendendo l’orecchio. Si racconta che Maria Maria d’Enghien, Regina di Napoli, Principessa di Taranto e Contessa di Lecce, Soleto e Galatina che fu seppellita nell’antico Convento di Santa Croce, torni spesso a far visita al Castello in cui abitò dopo il rientro nella sua amata città. Lo stesso Giangiacomo pare si aggiri ancora lì, nella sua cella scavata nella roccia.
- Un’altra anima in pena è quella del generale Tommaso Romano, commendatore di Terra d’Otranto. Seppellito nel 1857 nella Cappella di Santa Barbara che si affaccia sul cortile del castello non ha più trovato pace quando, un secolo dopo, la fortezza divenne una caserma e la sua tomba fu distrutta.
- Il Monaco con il saio del Museo Faggiano. Spiriti che raccontano storie, diventate leggende difficili da verificare. Storie che affascinano ancora, come quella dello spettro che si aggira per il Museo Faggiano, un gioiello scoperto per caso durante alcuni lavori di ristrutturazione che il proprietario, Luciano, aveva voluto per realizzare il suo sogno, quello di aprire una trattoria. Forse un monaco, notato anche da alcuni visitatori. La cosa “strana” è che tutti i testimoni hanno indicato lo stesso punto, dove c’era una vecchia porta poi murata.
LA LEGGENDA DELLA FRITTATA
La leggenda narra che presso la certosa di San Lorenzo a Padula, per il passaggio del re Carlo V di Spagna, di ritorno trionfante dalla battaglia di Tunisi, i monaci prepararono per colazione una frittata fatta con un numero piuttosto cospicuo di uova. Carlo V aveva sconfitto l’ammiraglio turco Khayr al Din, detto Barbarossa. Di ritorno dalla spedizione, dopo lo sbarco a Reggio, tra le numerose tappe decise di fermarsi nelle terre di Padula per due giorni presso la Certosa. Era il 1535 e con lui sostò l’intero esercito che si adattò, così come il re, alle abitudini monastiche del luogo: niente carne, rinuncia di ogni forma di lusso, alloggio in una cella come i padri religiosi.
Unico vezzo per il sovrano fu il materasso: fece sostituire la paglia con un materasso e le lenzuola di lana con quelle di lino. Per colazione l’imperatore e i suoi uomini sostarono nelle cantine, dove il cuoco preparò, insieme ad altre cose, anche una pietanza d’eccezione, se non per la tipologia, sicuramente per le dimensioni: una enorme frittata fatta con mille uova che potesse sfamare tutto l’esercito di re Carlo. Il Re grato dell’ospitalità ricevuta e colpito dalla maestria del cuoco, confermò al monastero gli antichi privilegi di cui godeva.
LE LEGGENDE SU CARLO V A RANDAZZO
Del passaggio di Carlo V da Randazzo rimangono sia alcune suggestive leggende – ancora vive nella tradizione popolare.
- Partito da Troina con il suo numeroso e variegato seguito, oltrepassata la contrada Gurrida, Carlo V, intravedendo un abitato con una ricca e antica architettura, chiese: “ma come si appella questa città con tre torri?” I maggiorenti della città – che nel frattempo si erano recati lì per accogliere con le formalità di rito la carovana imperiale – udendo le lusinghiere parole proferite dall’imperatore, approfittando della contingenza del momento, risposero con fierezza: “Sempreché la Parola Reale di Vostra Cesarea Maestà non deve andare indietro, è questa la città di Randazzo, dalla Maestà Vostra or ora onorata del Titolo di Città”; a che l’imperatore soggiunse: “Resta accordato”. Infatti, da allora, in tutte le scritture pubbliche e negli atti notarili, il toponimo Randazzo fu associato al titolo di “civitas” (città).
- Un’altra leggenda riguarda quella dei “cavalieri di Randazzo” la cui affinità è del tutto evidente con quella del “Todos caballeros” (siate tutti cavalieri) che si rievoca a Bologna e ad Alghero. Si narra che Carlo V, compiaciutosi per le entusiastiche accoglienze e acclamazioni della popolazione di Randazzo, mentre si affacciava da una monofora nel lato ovest del Palazzo Reale (ex Casa Scala) pronunciò la leggendaria espressione: Todos caballeros che fu interpretata dalla cittadinanza come elevazione dei randazzesi al rango di cavalierato. Si racconta, inoltre, che a perenne memoria della solenne proclamazione Todos caballeros e per non consentire a nessun altro di affacciarsi dalla medesima finestra essa fu murata subito dopo la partenza di Carlo V da Randazzo.
- La stessa finestra, infine, pare sia stata oggetto di un altro episodio leggendario con un retroscena romantico cui furono protagonisti lo stesso imperatore e una giovane fanciulla. La leggenda narra che Carlo V attraverso quella finestra vide, invaghendosene fulmineamente, una bellissima fanciulla bionda, randazzese, ma la cui famiglia era di origine normanna.
- Infine, altre improbabili leggende riferiscono che l’imperatore dimorò tre giorni a Randazzo partecipando sia alla celebrazione di tre sante messe, una per ogni chiesa parrocchiale, sia a una battuta di caccia in località “Gorga dell’Imperatore” dove avrebbe colpito un’anatra.
- Un’altra circostanza che si ricorda negli annali della città di Randazzo riguarda l’antico campanile di San Nicolò, oggi non più esistente. Ridotto in condizioni fatiscenti già all’epoca del passaggio di Carlo V, preso atto delle intenzioni di abbattimento manifestate dal civico consesso, per evitarne la demolizione, l’imperatore ordinò che se ne restaurassero le fabbriche a spese del regio erario. Tuttavia, a causa delle precarie condizioni statiche del manufatto, nonostante l’intervento di rafforzamento voluto dal monarca, il terribile terremoto del 1693 aggravò le condizioni strutturali e qualche decennio dopo l’antico campanile fu abbattuto, definitivamente.
Naturalmente le leggende e gli aneddoti non suffragati da documentazione non sono verità storica. Il passaggio di Carlo V da Randazzo dovette rappresentare uno dei momenti simbolici più gloriosi e strabilianti per la storia della città e tale visione rimase viva nell’immaginario collettivo per lunghi anni. È ipotizzabile che l’accoglienza all’interno della città sia stata organizzata meticolosamente e che i preparativi siano stati materialmente realizzati in sinergia tra le autorità comunali, corporazioni di arti e mestieri, residenti e clero.
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