IL TERREMOTO DELLA VAL DI NOTO DEL 1693 A CATANIA
Catania, nel corso del Seicento subì molte dolorose sventure; tra esse, particolarmente gravi furono l‘eruzione lavica del 1669 e il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693, che distrusse quasi del tutto la città.
Il terremoto del Val di Noto del 9 e dell’11 gennaio 1693 rappresenta, assieme ai terremoti del 1169 e del 1908, l’evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia orientale in tempi storici. Secondo recenti studi in realtà si potrebbe trattare di due eventi distinti. Con una magnitudo pari a 7,7, è considerato il terremoto più forte mai registrato nell’intero territorio italiano. Risulta inoltre essere il ventitreesimo terremoto più disastroso della storia dell’umanità, almeno tra quelli storicamente accertati.
L’evento sismico provocò la distruzione totale di oltre 45 centri abitati, interessando con effetti pari o superiori al XI grado MCS (scala Mercalli) una superficie di circa 5600 km2 , causando un numero complessivo di circa 60.000 vittime. Fu, fra l’altro, seguito da un maremoto che colpì le coste ioniche della Sicilia e lo Stretto di Messina e, probabilmente, secondo alcune simulazioni, interessò anche le Isole Eolie.
IL TERREMOTO DEL VAL DI NOTO DEL 1693
Tra il 9 e l’11 Gennaio del 1693 la terrà tremò in tutta la Sicilia Orientale. Due fortissime scosse e niente fu come prima. L’evento, infatti, provocò la distruzione totale di molti comuni nelle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa; arrivò persino a toccare Messina e Palermo. Sicuramente il terremoto del 1693 fu uno degli episodi più catastrofici della storia siciliana e catanese. Addirittura, secondo uno studio condotto dall’Università di Bologna, questo terremoto fu l’evento di più elevata magnitudo della storia sismica italiana. Come se non bastasse, al sisma seguì un maremoto che interessò tutta la costa orientale della Sicilia e giù, fino all’arcipelago maltese.
A questo spaventoso cataclisma sono legate due leggende catanesi, quella di “Don Arcaloro” e quella del “Vescovo Carafa“.
LE SCOSSE SISMICHE
La prima forte scossa (circa VIII grado MCS) della sequenza sismica che comprende questo terremoto arrivò improvvisamente la sera del venerdì 9 gennaio 1693 alle ore 21 circa con epicentro tra Melilli e Sortino. Crollarono numerosi edifici un po ‘dappertutto e vi furono vittime, altri edifici si lesionarono seriamente.
Dato che il giorno dopo, il sabato, passò senza forti scosse, la gente si illuse che tutto fosse finito. La domenica mattina, 11 gennaio, alle ore 9 si ebbe una nuova forte scossa ed un’altra circa un’ora dopo.
Ma l’evento principale (XI grado MCS), la tremenda e distruttiva scossa di 7.7Mw, scoccò alle 13:30 provocando l’immane distruzione e l’innesco del successivo maremoto le cui onde arrivarono fino in Grecia. Da considerare che la zona di Augusta, con la conformazione della baia e le condizioni geomorfologiche locali amplificò il fenomeno portando a un’altezza massima l’onda, stimata intorno ai 10 metri e con le acque che penetrarono per circa 200 metri nell’entroterra. L’evento fu talmente forte che portò lesioni e crolli parziali sino a Palermo, Agrigento, Reggio Calabria e, più gravi, a Malta.
Il secondo evento, il cui epicentro è stato identificato al largo del porto di Catania, è proposto che non facesse parte dell’evento accaduto due giorni prima, ma che si tratti di un vero e proprio secondo terremoto che aggravò sulla popolazione già colpita dal primo, coinvolgendo un’ampia area della Sicilia e della Calabria, con attestazioni di effetti anche sull’isola di Malta; tuttavia l’estrema vicinanza tra i due eventi e l’assenza di dati tecnici rilevati non consente di stabilire con precisione la natura dei due eventi.
Lo sciame sismico con le scosse di assestamento, anche forti, si protrasse ancora per circa 2 anni con un numero elevatissimo di repliche (circa 1.500 eventi).
IL TERREMOTO DEL 1693 I GIORNI DELL’APOCALISSE
Il sisma del 1693 noto come il terremoto della val di Noto, che colpì un’area vastissima della provincia di Catania, è stato probabilmente l’evento tellurico più violento degli ultimi 1.000 anni, su scala mondiale il 23° della storia.
In realtà fu una catastrofe combinata tra terremoto, eruzione dell’Etna e maremoto.
Tutto cominciò il 9 gennaio alle 4,30 della notte, quando una scossa di magnitudo 7.0 colpì la val di Noto, coinvolgendo praticamente tutti i paesi della zona, ma la particolare violenza dell’evento ne permise la propagazione fino alla isole Lipari, su tutta la Sicilia e parte del sud della Calabria. Come gli altri centri abitati, Catania subì seri danni alle strutture e contò 16 morti tra la popolazione. Ma l’evento che distrusse l’area fu la replica di due giorni dopo.
Alle 21 dell’11 gennaio 1693 una seconda scossa, molto più forte della precedente (7,5 Richter) colpì la val di Noto, coinvolgendo questa volta un’area molto più vasta (14.000 kmq). La scossa fu avvertita fino a Palermo, a Malta e in Tunisia.
L’epicentro al largo del porto di Catania, fu seguito dallo smottamento della costa. Alle 2,30 della notte un’onda di tsunami si riversò sull’area che ormai era composta solo da cadaveri, macerie e pochi sopravvissuti.
Il maremoto provocò onde alte fino a 16 metri e colpì nel contempo Malta, la punta sud della Calabria e le Lipari.
LE VITTIME DEL TERREMOTO DEL1693
Si presentava uno scenario apocalittico, tenuto conto che nel frattempo anche l’Etna era entrato in attività. È stato calcolato che se considerato sulla scala Mercalli, avrebbe raggiunto l’11mo grado.
I morti furono 54.000 secondo le stime ufficiali dell’epoca, ma probabilmente tale cifra è sottostimata dati i metodi spartani con i quali veniva censita la popolazione; era il periodo di decadenza del regno austriaco, il territorio di lì a pochi anni sarebbe poi stato conquistato dai Borboni.
Alla fine si contarono i morti che a Catania furono 16.000 su una popolazione di circa 20.000; a Ragusa circa 5.000 su 9.950; a Lentini 4.000 su 10.000 abitanti; a Siracusa circa 4.000 su 15.339 abitanti; in altri centri si ebbero dal 15% al 35% di morti rispetto alla popolazione residente, mentre a Palazzolo Acreide venne sterminato il 41% degli abitanti.
Una vera e propria ecatombe; lo sciame sismico si prolungò per oltre due anni e in seguito le città colpite vennero interamente ricostruite, alcune furono addirittura spostate a km di distanza, cioè ricostruite per intero su un sito diverso.
Città come: Noto, Avola, Grammichele, Giarratana, Sortino, furono completamente traslate più a valle, mentre Ragusa fu praticamente sdoppiata. Oggi quel che resta delle città pre sisma, sono indicate come “città vecchia“. Nel breve termine la precarietà dell’economia rallentò la ricostruzione dei nuovi centri, ma con l’avvento dei Borboni, l’edilizia costituì un volano per la ripresa economica e un’occasione per la realizzazione delle bellissime strutture che oggi possiamo ammirare in tutta l’area.
Inestimabili furono i danni per il patrimonio artistico e culturale della parte orientale dell’isola. Il vescovo Francesco Fortezza riporta che dei 64 monasteri della diocesi di Siracusa solo i tre di Butera, Mazzarino e Terranova erano in piedi, tutti gli altri erano stati distrutti. Inoltre, secondo una stima dei Senatori di Siracusa al Consiglio Supremo d’Italia a Madrid, erano “rovinati e demoliti in tutto: 2 vescovadi, 700 chiese, 22 collegiate, 250 monasteri, 49 città e morte 93.000 persone”.
LE VALUTAZIONI ATTUALI DEL SISMA
Le caratteristiche dell’evento principale da considerare, per molti aspetti, simile al terremoto del 1169 e suggeriscono che la struttura sismogenetica sia posta in mare, non lontano dalla costa tra Catania e Siracusa. Una indiretta conferma di questa ipotesi è fornita dal maremoto associato all’evento sismico che, anche in questo caso come nel 1169, colpì la costa ionica della Sicilia. La profondità ipocentrale stimata per l’evento principale è di circa 20 km. Di recente sono state effettuate indagini approfondite sullo stato per identificarne la sorgente; l’ipotesi odierna più accreditata è quella del sistema Ibleo-Maltese, anche sulla scorta delle evidenze dello tsumani.
Questa sintetica descrizione ci porta a considerare dov’è situata la Sicilia orientale. Difatti, secondo i geologi in appena 200 anni si sono verificati ben 177 terremoti che hanno provocato danni, cioè in media quasi uno ogni anno, causando ogni 15 anni distruzioni con perdite di vite umane. L’ultimo è stato quello del 13 dicembre 1990. La scossa fu di magnitudo 5,7 molto più debole di quello del 1693. Il sisma, con epicentro nel Golfo di Augusta, provocò gravi danni in molti paesi del Siracusano, dove morirono 17 persone. I feriti furono centinaia, i senzatetto oltre 15 mila. Le vittime furono tutte a Carlentini, dove gli edifici erano costruiti in tufo. I maggiori danni, però, furono ad Augusta dove oltre 7.000 persone rimasero senza una casa.
LE LEGGENDE SUL TERREMOTO DEL 1693
A Catania, che allora contava 20.000 abitanti, i morti furono ben 16.000.
Non molti sanno, però, che proprio al terremoto del 1693 sono legate due leggende: quella di “Don Arcaloro” e quella del “Vescovo Carafa”.:
- Sul terremoto è incentrata la leggenda di don Arcaloro , secondo la quale la mattina del 10 gennaio 1693 una strega disse al barone Arcaloro Scamaccache che l’indomani la città di Catania avrebbe “ballato senza musica”, ovvero che aveva sognato Sant’Agata la quale aveva tentato di implorare il Signore di salvare la città dal terremoto, tuttavia Gesù aveva negato la grazia per punire i peccati dei catanesi. Don Arcaloro si rifugiò allora nella sua residenza di campagna, salvandosi.
- Un’altra leggenda è relativa a Francesco Antonio Carafa, vescovo di Catania dal 1687 al 1692, che grazie alle sue preghiere avrebbe salvato Catania dal terremoto per due volte. Tuttavia, proprio dopo la sua morte avvenuta nel 1692, nulla poté evitare il terremoto dell’anno seguente. Come indicato sull’iscrizione scolpita sulla sua tomba situata nel Duomo di Catania.
- Naro, città dell’Agrigentino, si dice, fu preservata dal terremoto e la popolazione vi riconobbe la palese protezione del suo grande Patrono San Calogero. Ogni anno si ricorda questo evento con una processione proprio l’11 gennaio.
- A Vittoria, nel Ragusano, sono concentrati due leggende riguardanti il terremoto. La prima riguarda la vecchia chiesa madre di San Giovanni Battista, rimasta distrutta nel terremoto, e la statua del Santo, ritrovata decapitata tra le macerie; secondo la tradizione popolare, il Santo protesse la città dal sisma “Chiesa e Capo all’Altissimo, per liberare la sua diletta Vittoria”.
- Un’altra parla invece di un’urna in cui i cittadini misero i nomi di tutti i Santi che si veneravano in quella zona; secondo la leggenda, il nome di San Giovanni Battista uscì tre volte, perciò fu nominato patrono della città. Ogni anno, per ricordare l’evento, che a Vittoria costò la vita a 40 bambini, e tutte le altre vittime del Val di Noto, si celebra la Festa di San Giovanni di Gennaio. In molte altre città della zona interessata dal sisma, l’11 gennaio di ogni anno si celebra la festa del Patrocinio, per ringraziare il Santo Patrono per la sua intercessione in occasione del terremoto.
GLI ALTRI EVENTI SISMICI
Il bacino Mediterraneo è una zona altamente sismica, in particolare la vicinanza della Sicilia orientale alla faglia Ibleo Maltese, che si estende per 20 km in parallelo alla costa sicula orientale, con un’altezza che in alcuni punti raggiunge i 290 m è la testimonianza della spinta che la crosta terrestre riceve dalla deriva del blocco africano.
Atri eventi catastrofici di alta entità si sono verificati nella storia recente dell’isola. Ricordiamo in particolare l’evento di Messina del 28 dicembre 1908 che raggiunse una magnitudo di 7,1, o più recentemente il terremoto del 13 dicembre 1990, che colpì la zona di Augusta con una forza devastante di 5,3° Richter.
L’Italia meridionale e centrale è costantemente interessata da movimenti tellurici, ogni giorno ne accadono a centinaia; è lo scotto da pagare per vivere nel bel paese, ma sarebbero (a parte eventi epici) facilmente controllabili con un’attenta edilizia che ne tenga conto.
EPIGRAFE VIA SAN GIULIANO
Epigrafe posta in Via San Giuliano in ricordo del terribile terremoto del 1693 e dei suoi effetti. L’iscrizione continua invitando i catanesi a fuggire in caso di nuove scosse, nonché vigilare sulla città sottoposta/esposta ai saccheggi.
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