LA CHIESA DI SAN MAURO DI ACI CASTELLO
Nella parte più orientale della Sicilia, si trova il piccolo borgo marinaro di Aci Castello, il cui fiore all’occhiello è la chiesa di San Mauro. A circa 15 m.s.l.m., questo gioiello artistico attrae ogni anno milioni di turisti, sia italiani che stranieri, grazie alla sua ineguagliabile bellezza.
Se ami una vacanza che concili visite artistiche e culturali, mare cristallino e sapori e odori unici, non puoi che fare una tappa proprio in questa parte di Sicilia, resa ancora più affascinante dalla storia e dalle tradizioni popolari che vi sono ricollegate.
San Mauro, del resto, è il patrono di questa cittadina situata in provincia di Catania e ogni anno viene celebrato in grande stile sia dagli abitanti del luogo sia da visitatori che arrivano da ogni parte del mondo.
LA SUA STORIA
Non abbiamo notizie documentate sulla prima chiesa dedicata a San Mauro ad Acicastello, si può, tuttavia, supporre che il culto di questo Santo, visto che la cittadina, con le sue pertinenze, era stata data in feudo ai vescovi Benedettini di Catania nel 1092, risalga proprio al medioevo normanno.
Siamo invece certi che Acicastello – allora semplicemente Aci – possedesse una chiesa in età bizantina; di questo edificio, infatti, l’erudito parroco di Acitrezza arciprete Salvatore De Maria, aveva recuperato delle colonnine di marmo “cipollino”, simili a quella che si può vedere presso la porta nord della nostra parrocchiale utilizzata come porta acquasantiera.
Il parroco di Acitrezza, che era un raccoglitore di cimeli, fece donazione della sua collezione archeologica alla biblioteca Zelantea di Acireale, dove esiste, manoscritto, l’elenco dettagliato dei reperti e della loro provenienza. E’ del resto impensabile che una città cinta di mura non possedesse un luogo di culto; era stato, infatti, l’imperatore Costante II a volere l’incastellamento, cioè la costruzione delle mura difensive, di tutte le città costiere del Tema di Calabria e di Sicilia, in seguito alle incursioni islamiche del 662/63 e alla perdita dell’Esarcato d’Africa. Aci divenne così “Castellum” nel significato bizantino di “città murata”, nome che in vernacolo conserva tuttora.
Dopo la dominazione araba, l’unica chiesa del paese fu certamente la cappella del castello ricostruito dai Normanni subito dopo la conquista; la chiesetta, ora ridotta a deposito, è in austero stile medievale con archi acuti impostati su tozzi pilastri in conci di basalto e conserva ancora un affresco nel quale è appena leggibile una Madonna in trono con bambino e due santi ai lati, secondo lo schema bizantineggiante della “Deesis” (la preghiera), mentre in passato il piccolo presbiterio ospitava un trittico rinascimentale con la Madonna delle Grazie.
Per il silenzio assoluto della documentazione, dobbiamo fare un salto fino al XVI secolo per avere notizie della nostra chiesa. In quel secolo, funestato dalle scorrerie piratesche del Barbarossa, la nostra cittadina si era quasi spopolata e gli abitanti più coraggiosi che non si erano trasferiti sulle colline dovevano essere veramente poveri; la chiesa, come risulta dai documenti della visita pastorale di Mons. Faraone, era fatiscente, piccola e senza fonte battesimale !
La parrocchiale dedicata a San Mauro dovette, quindi, sorgere nella seconda metà del secolo, quando il pericolo turco era cessato, o al massimo, nei primi decenni del XVII secolo. Questa fu gravemente danneggiata dal terremoto del 1693 e restaurata dal vicario Tropea e dal vicario Paolo Romeo che, a conclusione dei lavori, nel 1718 fece erigere, “aelemosina civium”, un grande portale.
Nel 1767, con la costruzione del campanile, a spese del barone Cannizzaro, ha inizio un trentennio di ristrutturazione della chiesa sotto la supervisione del nuovo vicario Don Mauro Nicolosi; risalgono a questo periodo, infatti, i lavori di ampliamento del presbiterio e del transetto che venne allungato in direzione nord e sud fino ad eguagliare la lunghezza della navata, facendo così assumere all’edificio la forma di una croce greca. Il vicario non riuscì però nell’intento di edificare la cupola, non fidandosi della solidità delle pareti portanti, dovette accontentarsi di una ben più modesta calotta inserita nei prospetti interni del tamburo ottagonale e coperta a padiglione con tegole di cotto.
ACENSIUM FAECUNDA PARENS
La Chiesa, nei primi tempi della sua costruzione, non dovette essere molto addobbata, tanto che noi troviamo un quadro che doveva essere il principale adornamento, raffigurante S. Mauro benedicente, con la data del 1681 ed il fonte battesimale portante la data del 1684. Il terremoto del 1693 provocò il crollo quasi completo della chiesetta di S. Marina che non fu più edificata e danni molto gravi alla nuova chiesa di S. Mauro, che, proprio in quell’epoca, ultimava il suo adornamento. Provocò altresì il crollo delle mura attorno la città, della torre merlata secondaria del Castello e delle costruzioni interne di fattura normanna.
Passato il terrore ed il panico di quell’infausto avvenimento, tutta la popolazione si diede gran da fare per la riparazione della chiesa madre, aiutata da Don Cristofaro Duca Massa e capitanata dal Vicario Don Paolo Romeo.
Nel 1716 furono finiti i lavori di restauro della chiesa e fu eretto il bel campanile, che, sfuggito al tragico crollo del 21 luglio 1943, c’è dato ancora d’ammirare. Fu rifatta in pietra lavica la bellissima porta, di cui ancora sparsi qua e là sono visibili i bellissimi particolari e fu murata sotto la finestra, che era rimasta dalla prima fabbrica, la seguente epigrafe:
Non passarono molti anni, che la chiesa di S. Mauro, pur così mirabilmente riparata, doveva apparire insufficiente, specialmente agli occhi di un altro grande Castellese, il Vicario Don Mauro Nicolosi, che nato nel 1755 e presi, in tempo di primato, gli ordini religiosi, non viveva che per la sua chiesa, di cui ben presto divenne Vicario e per Aci-Castello di cui sognava un avvenire fulgido e splendido, facendo riferimento al passato glorioso del Castello, di cui fu lo storico ed il cantore.
Amava il paese e la sua chiesa ed il suo costante obiettivo era di farla più grande e più bella. Il sogno era affascinante, ma come realizzarlo?
Con la decadenza del Castello anche la popolazione si era rarefatta ed immiserita. Tutto questo però non era d’ostacolo all’entusiasmo del giovane sacerdote, tanto che verso il 1790 lo vediamo partire per Roma. A fare che cosa? Certo ad invocare aiuti. Ma denaro non ne trovò. Al Vaticano furono larghi di consigli, di premure ma… in quanto a denaro era un’altra cosa. Allora vediamo il nostro presule girare Roma in lungo ed in largo. Entrò in tutte le chiese, visitò tutte le basiliche e fra le altre, quella che maggiormente attirò la sua attenzione fu la chiesa di S. Maria degli Angioli. Pensò che in quelle forme doveva essere ampliata la chiesa di S. Mauro. Ritornò ad Aci-Castello con lo schizzo abbozzato di una chiesa a forma di Croce greca e si mise in cerca di denaro e mezzi.
Quello che non ottenne a Roma trovò ad Aci-Castello. La gente dava quel che poteva e chi non poteva dare denari, dava il proprio lavoro. Ed era commovente lo spettacolo al quale si assisteva ogni giorno di domenica, in cui le squadre di volenterosi Castellesi, fra cui non mancavano le donne, accomunate dalla fede e dall’ardore, lavoravano fino al tramonto, per portare avanti la fabbrica, per maggiormente onorare e glorificare il protettore S. Mauro. A capo delle squadre era sempre il giovane vicario e spesso lo si vedeva arrampicato per i ponti o ad impastare la calce ed il gesso, con la tunica sempre in disordine impillaccherata ed imbiancata dal gesso. Ma quando s’accorgeva che la calce o gli altri materiali facevano difetto, smetteva il lavoro manuale e si recava dai più facoltosi a chiedere denaro. Da uno di questi, un giorno ebbe un pezzo d’argento, del valore di 12 tarì e questa moneta fu e rimase base e castelletto di tutto il finanziamento della fabbrica, da quando quella moneta entrò nella cassetta delle elemosine, si racconta che il Vicario Nicolosi non fu più visto in giro a raccogliere fondi.
I denari venivano da soli senza particolare sollecitazione ed il buon Vicario non fu mai costretto a scambiarla. Quella moneta fu detta “ I dodici tarì della Provvidenza ”, si tramandò ai posteri e pare che ancora esista, come cimelio storico, in mano di privati cittadini.
La Chiesa fu ultimata nell’anno 1797 e Don Mauro Nicolosi, la cui modestia fu pari alla sua grandezza, volle che il suo nome figurasse in nessun luogo, ma una marmorea lapide, posta nell’interno della chiesa, eternasse il miracolo della Provvidenza Divina. La lapide diceva:
E sopra la porta principale all’esterno collocò un’altra lapide:
per significare come Aci-Castello fosse la madre di tutti gli Aci. Come da suo espresso desiderio, il suo nome non figurò in nessun posto ed il 5 agosto del 1834, quando morì, fu seppellito nella chiesa di S. Giuseppe, come un oscuro cittadino.
I BOMBARDAMENTI: LA NUOVA CHIESA
Non pare che dopo questi lavori ce ne siano stati altri di una certa consistenza nell’Ottocento; d’altronde, il periodo successivo all’Unità fu caratterizzato da continui avvicendamenti alla guida della parrocchia e da momenti di scarsa floridità economica.
I primi lavori importanti si svolsero nel 1907, quando si fece il nuovo pavimento a cemento della Chiesa; altri lavori sono indicati da mons. Zumbo nel 1919.
(. . . . . .) Nel 1937, al posto del ripostiglio e della cappella della Sacra Famiglia, fu costruita una sagrestia più comoda della precedente (piccolissima); furono restaurati ed il campanile quasi cadente: il Comune diede 1.000 lire, la spesa complessiva fu di lire 18.500. L’inaugurazione avvenne per la festa di S. Mauro 1938. Fu un lavoro che mostrò i suoi benefici solo per pochi anni, fino al 1943.
Aci Castello viveva allora i giorni più tragici della sua lunga storia; la Sicilia era presidiata dalle truppe amiche tedesche (i nostri soldati presidiavano invece altre zone fuori dalla nostra nazione): il 10 era proclamato lo stato di emergenza, a causa dello sbarco delle truppe nemiche inglesi che cominciavano la marcia di risalita lungo la nostra penisola precedute da pesanti bombardamenti navali ed aerei. Il 16 in paese ci furono le prime vittime (2 morti e 6 feriti). Il 18 era in programma una solenne festa religiosa per 1’ordinazione sacerdotale dei castellesi Giuseppe Belfiore, Francesco Cirone e Iginio Sagù ma, all’ultimo momento, per i bombardamenti, la cerimonia fu spostata nella Chiesa di S. Maria degli Ammalati ad Acireale fra enormi difficoltà per andare e tornare. Mai spostamento fu davvero salutare! Alle 12,30 le bombe colpirono proprio la Chiesa di S. Mauro, e chissà quale disastro avrebbero provocato se fosse stata piena di popolo per la cerimonia. Ci furono danni sensibili alla cupola.
In paese intanto la gente abbandonava le case e viveva nelle grotte, nei rifugi, in campagna. Dopo 3 giorni, il 21 luglio, per la chiesa di S. Mauro fu la fine: alle 19,00 circa, quattro bombe la distrussero completamente, lasciando in piedi il solo campanile.
Passarono venti anni prima che la Chiesa potesse guidare nuovamente la vita religiosa castellese: furono anni ricchissimi di dibattito sui modi di allestimento della nuova costruzione. Su questo, infatti, non c’era alcun dubbio: la Chiesa doveva essere ricostruita!
Alla fine venne fuori un progetto decisamente innovativo che fece e continua a far storcere il muso alla gente. Ma, in fondo, pensò probabilmente padre Sinatra, serve un luogo di culto! e, bella o non bella, la Chiesa di S. Mauro riprese in pieno la sua funzione di Chiesa guida del paese.
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Fu tirata su e il 21 luglio 1961, esattamente 18 anni dopo la distruzione, ci fu l’inaugurazione nel corso di festeggiamenti solenni la statua di S. Mauro fu riportata nella sua Chiesa. Da allora sono ormai passati 40 anni e l’opera, su quei richiami di moschea orientale che tante critiche le hanno procurato (e le procurano) ha continuato a vivere. C’è pero chi vede in essa davvero un’opera d’avanguardia, perché sembra mescolare vari culti al punto da proporsi come interprete dell’Ecumenismo che si spera proliferi in questo nuovo millennio.
LA STRUTTURA DELLA CHIESA DI SAN MAURO DI ACI CASTELLO
La chiesa di San Mauro è una struttura che risale al XVI secolo e che è stata oggetto di continui restauri e rimaneggiamenti nel corso dei decenni. Quando fu costruita nel ‘500 (l’anno preciso è sconosciuto) era piccola, fatiscente e quella che adesso è fonte battesimale non esisteva.
La chiesa fu duramente danneggiata in seguito al terremoto che colpì l’isola nel 1693 e per questo subì un’importante opera di restauro riconducibile al vicario Paolo Romeo. Da quel momento la struttura fu ingrandita progressivamente in seguito a successivi interventi di ristrutturazione.
Nel 1718 fu costruito, sempre ad opera del vicario Romeo, il grande portale che si può ammirare sulla parte frontale della chiesa. Quasi cinquant’anni più tardi, nel 1767, fu costruito il campanile a spese del barone Cannizzaro.
Purtroppo a queste opere di ampliamento sono seguiti nel corso dei secoli eventi catastrofici che hanno messo a dura prova la chiesa di San Mauro. Oltre al disastroso terremoto della fine del XVII secolo, infatti, la struttura crollò all’inizio degli anni Quaranta del secolo scorso, per un’incursione aerea degli Alleati durante la seconda Guerra Mondiale.
La chiesa, per come la possiamo ammirare ai giorni nostri, è il risultato dell’ultima opera di ricostruzione effettuata dall’architetto Failla dopo la fine del conflitto.
L’INTERNO DELLA CHIESA DI SAN MAURO
All’interno sono presenti statue e altri oggetti, di alcuni dei quali è ancora oggi ignota la provenienza.
Del resto, i continui rimaneggiamenti e restauri non aiutano ad effettuare una collocazione temporale certa della statua lignea ricoperta d’argento ivi presente.
Si narra che l’opera fu donata dal capitano di una nave francese per ringraziare gli abitanti del luogo che lo aiutarono a liberare l’imbarcazione arenatasi. La statua subì anch’essa dei rimaneggiamenti importanti. In ogni caso, gli studiosi la riconducono per stile al periodo che va intorno al 1600.
Oggetto di più restauri, si può notare anche l’influenza dello stile barocco dal manto in oro, decorato in maniera minuziosa.
LE TELE
La samaritana al pozzo
Il bassorilievo in stucco bronzato con la “Samaritana al pozzo di Giacobbe” è stato acquistato subito dopo la ricostruzione della parrocchiale da mons. Salvatore Sinatra e collocato nella parete ovest del presbiterio, con l’intento di creare uno spazio destinato al significato teologico dell’acqua. Esso sovrasta, infatti, dalla parete, il battistero seicentesco sfuggito fortunosamente ai crolli della chiesa del 1693 e 1943.
La scultura è stata eseguita nel 1960 da Giuseppe Fortunato Pirrone, artista che si è dedicato, quasi esclusivamente, fino alla morte avvenuta a Roma nel 1964, all’arte sacra. L’opera nel suo insieme fa pensare agli sbalzi in argento e oro le rize che ricoprono le immagini sacre delle splendide iconostasi delle chiese della cristianità ortodossa, e l’arte del Pirrone deve sicuramente molto all’estetica tardo-bizantina con la quale entrò in contatto sin dalla sua infanzia: era nato, infatti, nel 1897 a Borgetto in provincia di Palermo, nella zona prossima all’enclave di rito greco-ortodosso di Piana degli Albanesi, Mezzoiuso e Palazzo Adriano. La ieratica figura del Cristo risponde pienamente alla maniera orientale di rendere l’immagine: essa deve esprimere l’invisibile che c’è nel visibile, cioè fare emergere i tratti spirituali da quelli fisici. L’opera del Pirrone, quindi, non è arte decorativa: l’estetica formale viene sottoposta allo spessore di significato di cui è mero veicolo, pertanto essa va letta in chiave esclusivamente teologica.
La rappresentazione centrale dell’incontro del Cristo con la Samaritana al pozzo di Giacobbe e gli episodi Evangelici in scala ridotta che la contornano, non rispondono, come si potrebbe pensare, ai modelli delle icone panegiriche o celebrative delle vite dei santi.
L’artista, insistendo sull’elemento acqua nelle rappresentazioni minori del miracolo di Cana, della lavande dei piedi agli apostoli, del Battesimo di Cristo, del Battista che predica nel fiume Giordano e della Maddalena che lava i piedi al Maestro, ha voluto far assurgere, per ridondanza, il segno dell’acqua a simbolo del pentimento, ed inoltre, da un livello più profondo, far emergere il messaggio neotestamentario di base: chiedendo il pentimento alla donna samaritana, il Cristo abbatte il concetto tribale della religiosità ebraica, rendendo ecumenica la sua chiamata.
La pala di San Mauro Benedicente
Nel 1681 Giacinto Platania, ormai affermato “petit maitre” dell’ambiente artistico acese, firma questa tela per l’altare del transetto destro della parrocchiale.
L’opera rimase nella stessa collocazione anche in seguito ai restauri ai quali fu sottoposta la chiesa in seguito al terremoto disastroso del 1693 fino a che non fu, per così dire, declassata nel 1808 e sostituita con la grande tela neoclassica con San Mauro Taumaturgo commissionata dal Vicario Nicolosi e sistemata in sagrestia fino al crollo della stessa in seguito all’incursione aerea alleata del 21 luglio 1943.
La tela rimase poi relegata per circa un ventennio nel salone dell’oratorio, fino a quando Mons. Salvatore Sinatra, parroco del tempo, l’affidò all’atelier di A. Cristaudo per il restauro del dipinto e la doratura dell’elegante cornice, per essere infine riportata nella parrocchiale ricostruita e collocata nella parete sud del presbiterio. In questa tela, ormai informata ai dettami della controriforma che suggeriva agli artisti di rendere espliciti i segni del potere temporale della Chiesa, appaiono evidenti le lezioni luministiche diffuse in Sicilia da Mario Minniti, pittore siracusano amico del Caravaggio.
La figura di S. Mauro, in abiti episcopali, viene proiettata in avanti dallo sfondo buio e privo di accenni paesaggistici, ma la composizione globale, con gli angeli disposti in simmetria speculare, rimanda ad un’opera che il giovane Platania dovette tante volte ammirare e rimanerne affascinato: si tratta del grandioso polittico, andato purtroppo perduto con il terremoto del 1693, della chiesa parrocchiale di Aci S. Filippo del quale ci rimane un solo pannello del registro mediano con San Nicola di Mira benedicente. Ebbene, l’affinità dello schema delle due opere, pur nella diversità stilistica, è talmente evidente da non poter essere ignorata.
Nella tavola di San Nicola di Mira, certamente opera di Antonello Crescenzio detto il Panormita, come dimostra una sua replica custodita nella matrice di Chiusa Sclafani (PA) anch’essa facente parte di un polittico, la simmetria nella distribuzione dei personaggi intorno alla figura centrale è rigorosamente rispettata secondo i criteri della razionalità rinascimentale, canoni mantenuti del resto anche nelle pale d’altare del secolo XVI e dei primi decenni del XVII e dai pittori che, come il Platania, volevano “arcaizzare” le opere destinate al culto popolare. Che la teoria dei Santi che presentava il registro mediano del polittico di Aci San Filippo sia stata fonte di ispirazione per il Platania fin dal suo debutto come pittore, ci è confermato da altre opere custodite in alcune chiese di Acireale: pensiamo alla tela con i Santi Martino, Mauro e Nicola della chiesa di S. Martino, alla Santa Apollonia della chiesa di San Michele, alle Sante Agata e Lucia della Chiesa di Santa Maria della Lettera, alla Santa Venera della Pinacoteca Zelantea e, alla Santa Venera trafugata negli anni ’70 dalla chiesa campestre di S. Venera al Pozzo.
Ebbene, tutti questi santi e sante sono presentati alla maniera rinascimentale, come si trattasse di una galleria di veri e propri ritratti. E non è certo un caso se il Platania, come dicono il Vigo e il Raciti Romeo, sia stato il ritrattista prediletto della nobiltà acese del seicento. Un’ulteriore conferma dell’abitudine del Platania ad ispirarsi alle più belle opere a lui note, ci è fornita dalla pala dell’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini con Santa Maria degli Angeli, mediata dalla conoscenza della Madonna del Rosario che il messinese Antonio Catalano il Vecchio aveva eseguito nel 1600 per la Cattedrale di Acireale, diffondendo, insieme al toscano Filippo Paladini, i modelli delle tele controriformate di Scipione Pulzone ed Alessandro Allori pervenute in quegli anni in Sicilia.
Traslazione delle reliquie di Sant’Agata
Fu grazie alla curiosità di un nostro concittadino, Santo Castorina, che nel 1987 la comunità castellese si riappropriò di un dipinto di cui si erano perse le tracce subito dopo la seconda guerra mondiale.
Esplorando il sottotetto della casa canonica si imbatté in uno strano involucro impolverato da quarant’anni. Capì subito che quell’oggetto che a prima vista poteva sembrare un tappeto era in realtà un dipinto.
A seguito del bombardamento aereo alleato che distrusse la chiesa, esso era stato erroneamente arrotolato per la sua lunghezza con la superficie pittorica all’interno e poi piegato in due. La parte superiore della pala conserva uno schema da dipinto controriformato, con Sant’Agata e Santa Venera in trono tra puttini e con lo Spirito Santo in alto.
La mano dell’artista che ha eseguito questo dipinto è senz’altro la stessa che ha eseguito l’altra grande pala d’altare raffigurante S. Mauro Taumaturgo, firmata quest’ultima col monogramma AR.
Tecnicamente il quadro è stato dipinto con grande perizia, gli incarnati sono di estrema delicatezza, le sfumature perfette e i panneggi assumono in alcune parti valore plastico. La luce proveniente da sinistra illumina tutta la scena in modo soffuso senza creare forti contrasti chiaroscurali.
Il dipinto non presenta particolari slanci emotivi, nè forte emozione religiosa ma diventa una lucida e pacata narrazione di un evento storico che, unito ad una razionale e studiata impostazione delle figure, dà all’insieme una forte connotazione neoclassica.
La tela dell’Ecce Homo
Ospitata per circa un secolo nell’edicola omonima alla Marina, la tela dell’ “Ecce Homo” è stata trasferita nella parrocchiale per evitare che, dopo un terzo tentativo di furto, prendesse la via del mercato antiquario clandestino. La tela è stata, quindi, restaurata dal parroco Don Orazio Adamantino e definitivamente collocata nella parete ovest del Presbiterio, a destra dell’altare maggiore. Nell’edicola rimasta sguarnita è stata collocata una fedelissima copia eseguita nel 1997 dalla pittrice russa Kilina Oxana.
La tela, firmata dal pittore Rosario Pulvirenti, è senz’altro una delle più belle immagini del Cristo dolente, il cui sguardo, pieno di contenuta amarezza, sembra emanare un pathos ineffabile.
Madonna della Purità
La tela della “Madonna della Purità”, che si espone sull’altare maggiore solo in tempo di Avvento, è una copia di quella andata perduta nel Luglio 1943.
L’originale era una delle tante repliche, rintracciabili in varie chiese della Diocesi di Acireale, della veneratissima immagine che si conserva nella chiesa dell’oratorio dei Padri Filippini ad Acireale.
Quest’opera, attribuita da alcuni a Paolo Vasta, da altri al figlio Alessandro, è un modello iconografico diffuso nella Sicilia orientale dai Vasta, da Vito D’Anna e dai loro seguaci, da un prototipo di Carlo Maratta pervenuto in Sicilia in litografia.
Rosario Pulvirenti, autore della copia, mise in atto tutte le sue straordinarie abilità accademiche nel riprodurre con esattezza il dipinto perduto, e, ad opera compiuta, ne fu talmente entusiasta, da scrivere sul retro della tela: “un quadro guasto dalla distruzione della chiesa madre, rifatto più bello dal pittore Rosario Pulvirenti il 1 Maggio 1949 “.
San Mauro Taumaturgo
La pala d’altare di S. Mauro Taumaturgo fu anch’essa vittima del bombardamento del 1943 come la pala della Traslazione, ma a differenza di questa non fu arrotolata e dimenticata in soffitta bensì fu appesa nella chiesa. Nel 1959 subì un pessimo intervento di restauro che alterò buona parte del dipinto; addirittura nella parte destra fu asportata una striscia di tela larga 30 cm. e alta quanto il quadro stesso e sostituita con una striscia di tela dipinta ex novo.
Purtroppo gli interventi di restauro furono di pessima qualità sia dal punto di vista tecnico che da quello estetico.
La tela fu rifoderata con tela di sacco molto grossolana e, non essendo la pellicola pittorica stata fissata adeguatamente, vi era un esteso “craquelure” con molte parti sollevate che si staccavano con facilità.
Il restauro estetico, ovvero la reintegrazione pittorica, fu fatta senza tenere in alcun conto le proporzioni umane: anatomie vistosamente imperfette, colori completamente fuori tono che creavano uno sgradevole effetto di macchie.
Grazie all’interessamento della Congregazione San Mauro è stata possibile l’operazione di restauro che è risultata lunga e laboriosa ed ha richiesto un intervento totale: fissaggio del colore, nuova foderatura, sostituzione telaio, accurata pulitura di tutta la superficie pittorica. Il restauro estetico è stato fatto con particolare attenzione tenendo conto che il quadro è oggetto di devozione da parte dei fedeli Castellesi perché legato alla figura di S. Mauro.
Il dipinto firmato in origine con i monogramma AR è datato 1808 ed è dello stesso artista della pala della Traslazione.
In passato la tela fu erroneamente attribuita a Mariano Rossi, ma ciò è impossibile in quanto il quadro è datato 1808 ed il Rossi morì il 1805.
Osservando con attenzione le due pale d’altare possiamo notare una specularità nella struttura. Come per la traslazione non abbiamo un apparato scenografico particolare, lo sfondo essenziale è costituito da una possente architettura che si apre su un paesaggio con il mare ed alcuni velieri.
La figura principale è quella di S. Mauro con la mano destra benedicente e il pastorale nella sinistra e con i paramenti di Abate riccamente decorati. Davanti a lui una figura inginocchiata come nella traslazione, alla sua destra i chierici ed alla sua sinistra dei monaci. Attorno una cerchia di infermi che chiede il miracolo: la donna dalla mano storpia, la madre che porge il figlioletto, l’uomo che si appoggia al bastone ed il vecchio disteso per terra. La figura dell’angioletto di sinistra in alto è speculare rispetto alla figura dell’angioletto in primo piano nella Traslazione.
La luce, proveniente da destra determina una zona luminosa in corrispondenza della figura di S. Mauro che si propaga alle altre figure e che crea un maggior contrasto chiaroscurale paragonato alla luce soffusa del dipinto della Traslazione pur rimanendo con una forte connotazione neoclassica.
Anche qui c’è il senso narrativo dell’evento, il momento del miracolo, lo sguardo sereno del Santo e il tempo che sembra rallentare e fermarsi.
LA FESTA DI SAN MAURO
San Mauro è il santo patrono di Aci Castello e ogni anno il 15 gennaio si tiene la festa in sua commemorazione.
Il suono delle campane, lo sparo dei mortaletti e le note della banda musicale nelle prime ore del mattino inaugurano l’inizio dei festeggiamenti. Il contesto è molto suggestivo e coinvolgente.
Si pensi al continuo sventolio di fazzoletti bianchi e al grido dei fedeli in dialetto: “Divoti tutti e ccu vera fidi, viva Santu Mauru”. La cerimonia continua con lo svelamento in chiesa il Simulacro del Santo che, durante il pomeriggio viene condotto lungo tutte le vie del borgo, per raccogliere offerte, denaro ed oggetti d’oro, in segno di gratitudine per grazie ricevute.
La festa di San Mauro è una delle più importanti feste religiose della tradizione siciliana.
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